Ripensando a “Nel magma”

Mario Luzidi Gloria Manghetti

Quando nel 1963 uscì Nel magma da più parti fu segnalata la novità di un libro che, dopo solo tre anni da Il giusto della vita, rivelava una importante quanto inquietante svolta nell’iter poetico di Luzi. A colpire fu in primo luogo il rinnovato rapporto tra il poeta e la realtà esterna, tra un io sofferto e in continua ricerca conoscitiva e un tu finalmente riscoperto nella sua dimensione più quotidiana e tangibile. D’altra parte è già stato fatto notare come la complessa relazione poeta-mondo espressa in Nel magma trovi origine nel lento ripensamento su quanto il poeta era venuto maturando lungo tutto l’arco del Giusto della vita, dalla Barca del 1935 fino ad Onore del vero del 1957, che, insieme a chiudere una stagione, anticipa numerosi elementi della futura produzione del poeta.

L’effettiva novità e rottura di un libro come Nel magma è, quindi, da rintracciare non tanto nell’adesione a temi fino a questo momento estranei alla poesia di Luzi, quanto nella capacità di rivisitare ed approfondire il complesso rapporto con l’esterno, con l’altro da sé, attraverso l’adozione di strumenti linguistici ed espressivi che costituiscono la vera originalità della raccolta.

È soprattutto a livello linguistico, infatti, che Nel magma rompe con le istanze formali fino a questo momento utilizzate, per foggiare un dettato in grado di rivelare il rinnovato e più intenso coinvolgimento del poeta con un esterno così poliedrico nelle sue manifestazioni eppure così unitario nel suo destino. Dietro una simile operazione sta la volontà di Luzi di recuperare in pieno quelle potenzialità comunicative del linguaggio della poesia, precedentemente «congelate» in un libro come Avvento notturno, punto zero da cui ripartire per approdare poi, attraverso lo sviluppo di una sempre più urgente capacità espressiva di libri come Primizie del deserto ed Onore del vero, proprio ai moduli stilistici di Nel magma.

Già Contini, nel 1968, parlava di «prosa pausata in cui s’incide una spietata analisi di rapporti umani», indicando come ancora una volta sia il testo, attraverso i suoi più intimi legami costitutivi, a rivelare il nuovo rapporto del poeta con l’esterno e, quindi, col proprio poiein. Ha dichiarato Luzi: «io miro a uscire dalla mia solitudine, e nient’affatto a farmene un piedistallo o a servirmene per preservarmi». Il poeta agisce in primo luogo sulle strutture stilistiche, a partire dall’adozione di una lingua medio-alta, mai quotidiana nella sua «nobile estrazione saggistica» (Gianfranco Contini), eppure fortemente contaminata da usi lessicali tipici di una lingua parlata, felicemente accostati a stilemi della tradizione.

I diversi livelli linguistici così sovrapposti trovano la loro più intima ragione nella struttura stilistica del libro, costantemente oscillante tra un ripetuto andamento dialogico ed intensi momenti di tipo descrittivo-meditativo. Da qui deriva l’aspetto prosastico di Nel magma da intendersi, però, nei limiti indicati dal poeta stesso in un’intervista a Camon: «Non c’è una progressiva prosasticizzazione, in me, ma se mai l’assunzione anche dell’indiscriminato (almeno come tentativo) al piano della poesia», secondo l’interpretazione anche di una parte della critica che insiste sulla fisionomia simbolico-eliotiana della raccolta.

Nel magma, dunque, attraverso una struttura stilistica libera nelle sue interne unità costitutive, si propone al lettore in tutta la sua urgente inquietudine di libro di trapasso ed insieme primo documento di una nuova, personalissima disponibilità poetica, volta ad una non più rinunciabile dimensione comunicativa del testo. Si tratta di una tappa importante e indispensabile nell’iter poetico di Luzi, in quanto segna, proprio grazie al difficile equilibrio tra una innegabile apertura alla realtà ed una persistente incapacità di lasciarsi contaminare, la nuova scelta operata e poi confermata, con modalità di volta in volta diverse, nei libri successivi.

Gloria Manghetti