Luzi, Venturino e la “Commedia”

di Nicoletta Mainardi

La luce in che rideva il mio tesoro
ch’io trovai lì, si fe’ prima corusca,
quale a raggio di sole specchio d’oro;
Paradiso, XVII, 121-123

È noto come l’esempio di Dante e della Commedia abbia costituito un termine di riferimento costante e imprescindibile per il nuovo corso della poesia luziana del dopoguerra, sempre più responsabilmente implicata nella magmaticità dell’esistenza individuale e cosmica (vedi qui il post Luzi e Dante). La lezione di Dante riflette in Luzi un’immagine della poesia conforme alla sua ispirazione testimoniale e profetica: un’immagine “salutare”, desiderante e dinamica, che dall’hic et nunc della nostra transitoria e contraddittoria condizione umana risale al principio unitario e perenne della vita. Dante diventa progressivamente per Luzi un eterno contemporaneo con il quale confrontarsi nell’esercizio di una poesia che si vuole “pari alla vita”.

Quanto a Venturino Venturi, sappiamo che Dante l’aveva nel sangue, da quando aveva cominciato ad apprendere la lingua italiana su quel libro magnifico e visionario che il padre, emigrante antifascista in Francia e in Lussemburgo, aveva portato con sé. Tornando a Dante nella sua piena maturità, dopo la prova dolorosa della guerra e l’episodio altrettanto drammatico della depressione seguita al lavoro nel parco di Collodi, Venturino propone una personalissima rivisitazione mitografico-immaginativa di un’opera di poesia assimilata nella sua profonda essenza salvifica, da itinerarium mentis in Deum.

Venuto dunque per Venturino il momento di illustrare la Commedia dantesca, Luzi interviene, da assiduo lector Dantis, a commentarne l’impresa: un modo anche questo di ritrovarsi, di riconoscersi nella tensione ontologica e nell’energia creatrice del gran libro, di riannodare legami fra ciò che si somiglia. Un modo di riscoprire nel richiamo a Dante, alla sua vicenda di uomo e di poeta in viaggio alla ricerca di sé, la consapevolezza della propria inerenza nella continuità della creazione artistica e poetica. Il ciclo grafico ispirato alla Commedia originalmente realizzato da Venturino in sinergica intesa con Luzi rappresenta infatti il momento forte della collaborazione creativa in cui si è specificato negli anni il fecondo sodalizio tra il poeta e l’artista (vedi qui il post Luzi nell’atelier di Venturino).

La riflessione congiunta sul poema dantesco è condensata nelle LXIII tavole che formano il volume Con gli uomini e con gli angeli. Venturino Venturi sulla traccia di Dante edito da Pananti nel 1984. Luzi, autore della prefazione, fa da guida per orientarsi nell’universo formale di Venturino che in rapporto al libro di Dante opera “talora nel rispetto e nella viva suggestione della poesia, talora senza la sua mediazione”, in base a quanto gli suggerisce il suo cristianesimo elementare e cosmico e la sua spinta vena immaginativa, fino a raffigurare se stesso e la sorella Beppina tra le schiere celesti.

L’accordo vibra all’unisono all’approssimarsi della “visione liberatrice”, nella prospettiva di un dantismo empireo dove la luce si dà come sostanza e forma della visione. Per l’illustrazione del Paradiso, il regno che stando alla testimonianza di Luzi sembra ormai interessarlo di più, Venturino appronta una serie di “Interventi luminosi”: radiazioni dell’energia creatrice sotto forma di tracciati ovulari e sferici, di nitide partiture geometriche, di tagli e fessure, di lievitazioni pulviscolari. Venturino rappresenta così, sinteticamente, il suo rapporto con l’assoluto, nel tentativo di catturare, come nota Luzi, “il linguaggio della luce, della danza, della assoluta quiete contemplativa”. A questo alludono i titoli di ascendenza dantesca e luziana di alcune tavole: Ardore che ogni cosa raggia, La luce, Discesa di splendori, Celeste fiumana, L’eterna luce, Somma luce, Luce divina, Luce eterna.

Di questa tensione verso la luce sono testimoni definitivi i Santi. I Santi dagli “occhi grandissimi”, ancora secondo Luzi, “consci e innocenti, che tutto hanno visto e tutto vedranno” – gli occhi, è appena il caso di aggiungere, che Venturino mutua dal suo romanico consustanziale –, rimandano alla questione centrale per l’artista dello sguardo come riflesso simbolico della conoscenza assoluta. È infatti “impossibile parlare della luce – ha affermato altrove Luzi commentando alcuni canti del Paradiso (La luce (dal Paradiso di Dante), 1994) – se non luminosamente così come non si può parlare del sogno se non sognando e della visione se non vedendo. Da questa assoluta immedesimazione tra tema e modo, che supera e annulla la metafora, prende avvio l’opera celeste, la suprema alchimia del Paradiso”. La “suprema alchimia” di luce e sguardo rintracciata per suo conto da Luzi nel Paradiso dantesco, è anche il punto massimo cui tende nella riscrittura della terza cantica il segno di Venturino, che ci consegna due ritratti di Gesù (tavv. XLV e LIV) speculari al proprio Autoritratto (tav. XXXV).

Qui l’immedesimazione visiva è totale, puro sguardo riflesso in pura immagine. E del resto mettersi sulla traccia di Dante, il poeta sublime ma anche il personaggio-uomo che nella sua poesia dice io, significa, per Luzi come per Venturino, in primo luogo questo: mettersi alla ricerca di una immagine di poeta e di artista compatibile con il proprio intimo autoritratto.

Il ciclo grafico di Venturino ispirato al poema dantesco è oggi riproposto in tutta la sua suggestiva, penetrante modernità nella mostra La Divina Commedia di Venturino Venturi, a cura di Lucia Fiaschi, in corso a Firenze a Villa Bardini fino al 2 aprile 2017.

Nicoletta Mainardi

Nell’illustrazione: Venturino Venturi, Poeta che mi guidi, 1984