Luzi e Pontormo

di Nicoletta Mainardi

Pontormo, VisitazioneATTENZIONE
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L’interesse di Luzi per il mondo dell’arte e per gli artisti non si esaurisce con il suo poema senese, Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini (1994), incentrato sulla figura del celebre pittore medievale (vedi qui i post Luzi come Simone Martini e L’universa compresenza). Un altro grande pittore antico contemporaneo di Michelangelo, Iacopo Carucci detto il Pontormo (Pontorme, Empoli 1494 – Firenze 1557), singolare figura d’artista tra i più inquieti della sua epoca, ha ispirato al poeta un testo originalissimo scritto per il teatro, Felicità turbate, pubblicato da Garzanti e andato in scena al Piccolo Teatro Comunale di Firenze il 6 giugno 1995.

Protagonista della cosiddetta “maniera moderna”, antinaturalistica, sperimentale e anticlassica subentrata alla magnificenza del Rinascimento, Pontormo è la sua pittura ma è anche la letteratura fiorita intorno al suo personaggio. “Pontormo o la leggenda di Pontormo?”. Sulla tormentata e oscura vicenda del maestro empolese sospeso tra esistenza e mito indaga in Felicità turbate un personaggio, Memoria, che gestisce l’azione parlata riattivando dialoghi a distanza con i primi testimoni, cronisti, estimatori e giudici di Pontormo: Iacopo Nardi, Baccio Bandinelli, Bronzino, Vasari.

In cerca di verità, una verità che dubita di sé immersa com’è nel perenne mutamento delle cose (“Ma quale storia mai / non è infedele al vero? / La verità non è mai uguale a sé. / Si forma e si modifica / all’interno della vita”), Memoria registra l’evento non documentato dalla Storia, la verità del dramma mentre questo è in atto. Ed è ancora a Memoria, al termine dell’inchiesta, a sciogliere l’enigma su Pontormo restituendo l’artista allo splendore senza tempo della sua pittura: “Ho cercato, frugato, / mi sono strofinata a molti spigoli / e macerie, / dove sono pervenuta? / Si accrescono le ombre / al pari delle luci. / Ma la gloria impera / e scioglie quella querela / e acceca me, Memoria”.

Nella forma dialogica interrogante e meditativa consueta da Nel magma (1963) in poi alla poesia di Luzi che trova nel suo teatro di parola il proprio spazio rituale, Felicità turbate mette in scena il rovello spirituale e fantastico di un artista “assetato di perfezione”, combattuto tra “dolcezza” e “scoramento”, tra chiarità dell’arte e la sua anima nera.

Attraverso una raffinata e sapiente partitura polifonica che teatralizza il luziano “disaccordo” – di verità e memoria, essenza ed esistenza, poesia e storia, opera e autore –, l’“uomo fantastico e solitario” (Vasari), “stranito” e “scontroso” approvato dalla tradizione torna a far parlare di sé, della sua vita misera consumata fra le pareti di una casa-fortezza, assediato da un silenzio rotto soltanto dal suo continuo rimuginio, solo con la sua tetra malinconia e con l’ossessione della morte. “Entrava / così l’irrequietezza e l’angoscia della mente / nella nostra arte compita”, come dirà del suo maestro il fedele Bronzino.

Ed eccolo infine, Pontormo, evocato al centro della scena ormai vecchio e stanco, logorato dalla discussa impresa degli affreschi – poi andati perduti – della chiesa fiorentina di San Lorenzo, prigioniero della propria nevrosi; al punto da affidare gli ultimi anni della sua vita allo squallido resoconto di un taccuino, Il libro mio, rimasto fonte primaria della sua leggenda. Un uomo finito, se anche il “coro delle cose dipinte”, i suoi capolavori che ancora oggi ci seducono con la magia dei colori e il fluttuare delle forme (come la Deposizione di Santa Felicita e la Visitazione di Carmignano), si allontanano da lui. Finché cala su Pontormo il velo di una solidale pietà, e il sipario si chiude sulle sue – ma anche di Luzi e nostre – “felicità turbate”.

Nicoletta Mainardi