Una chiesa e una città

Il Duomo di Firenzedi Marco Marchi

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Leggi versi da “Opus florentinum” in Testi!

Quando Mario Luzi in occasione del Giubileo del 2000 ideò la scrittura scenica di Opus florentinum, il fine letterario gli si propose doppiamente celebrativo: celebrare una chiesa e celebrare una città. Obbiettivi del tutto visibilizzati, ma intimi, profondissimi. In versione drammaturgica – secondo cioè mirabili precedenti, da Ipazia a Rosales, da Felicità turbate a Ceneri e ardori la poesia di Luzi, facendosi «opus», avrebbe reso omaggio, prima di tutto, all’«opus» predicato dal titolo, e cioè alla costruzione e alle vicende di una grande cattedrale dedicata alla Madonna.

Subito dopo, accanto, la città che quell’opera meravigliosa fatta oggetto di canto ha voluto e ha visto nascere: un’opera consegnata alla Storia, ai secoli, che Firenze conserva, secondo un suo protratto destino di accoglienza all’insegna di quei foscoliani vertici dell’umano di cui la città, da sempre, è doviziosamente depositaria.

Una celebrazione cittadina, civica, societaria: tra cronaca urbana e storia dell’umanità, e mediante le risorse della poesia allargabile a tutto l’esistente. Uno dei maggiori meriti della poesia di Luzi, lo abbiamo detto tante volte, è stato quello di dare la voce anche a chi non l’ha. In Opus florentinum parlano non solo gli uomini di quella Firenze medioevale che immaginò e realizzò la creazione di una basilica, da Arnolfo, da Giotto e da Brunelleschi all’ultimo degli scalpellini cooptati nell’impresa, ma le cose stesse, partecipi di quel grande, incadescente crogiuolo, di una metamorfosi in atto: una nuova chiesa che nei versi di Luzi si fa essa stessa voce, voce che parla, al pari della chiesa che proprio in quel luogo l’ha preceduta, Santa Reparata, Santa Reparata che maternamente anche alla sopraggiunta Santa Maria, assieme agli uomini tutti, si rivolge, ripercorrendo il proprio passato, la propria vita.

Calamitata da un evento ecclesiale di così vasta portata e durata, ecco dunque profiliarsi nel testo teatrale una rivissuta, inevitabile dialogicità di confronto che sostanzia l’accezione stessa di genere letterario cui l’opus contemporaneo di Luzi, nel celebrare l’opus di allora, si conforma. A più voci riprende vita la Firenze di fine Duecento e trecentesca impegnata nell’impresa: una Firenze variegata e popolatissima, al fuoco della «creazione incessante» e magari pure dell’interna «controversia»: una Firenze aperta al suo contado e ai suoi dintorni non meno che al molteplice e al diverso da lei; una Firenze collettiva, brulicante per la festa che comincia, con i suoi ordini religiosi, le sue confraternite e le sue compagnie, le sue arti e i suoi capitani, le sue fazioni politiche, i suoi notabili e il suo popolino.

Firenze, l’evocata Firenze coeva all’erezione di Santa Maria del Fiore, fin dalla posa solenne della sua prima pietra diventa così il mondo, e un mondo che contiene il futuro del mondo, un mondo proiettabile nel mondo che verrà. 

Marco Marchi